TurismoIl turismo può salvare i borghi? Il falso mito che tutti ripetono

Il turismo può salvare i borghi? Il falso mito che tutti ripetono

Può il turismo ripopolare davvero i piccoli centri? Un’analisi per fare chiarezza su una credenza ancora troppo diffusa.

di Ruben Santopietro

In una recente intervista al TG2 Costume e Società ho parlato di un tema che, da anni, accompagna il mio lavoro: il futuro dei borghi italiani. Ogni volta che si affronta l’argomento, la domanda torna la stessa: il turismo può davvero salvarli? È una domanda affascinante, ma anche ingannevole, perché il turismo, da solo, non può ripopolare un piccolo comune.

Può accendere l’economia che lo sostiene, ma perché quella fiamma continui ad ardere serve un ecosistema fatto di case, scuole, connessioni, sanità, mobilità e lavoro. Senza questi elementi, la scintilla si spegne in fretta.

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative che promettono di riportare vita nei borghi grazie a incentivi economici o case a un euro. Sono progetti che hanno avuto il merito di accendere i riflettori su territori dimenticati, ma raramente hanno generato comunità stabili. Le persone non scelgono di vivere in un luogo per un bonus, ma per la qualità della vita (i servizi) che quel luogo è in grado di offrire.

Non si resta in un borgo per un contributo economico, ma perché lì c’è una scuola aperta, un medico vicino, una connessione stabile. La vera sfida non è rendere eroica la vita nei piccoli centri, ma riportarla nella dimensione della normalità.

L’Italia è un Paese di comuni piccoli e piccolissimi: 7.904 in totale, e quasi il 70% ha meno di 5.000 abitanti. Il dato grave è che più di 2.500 comuni sono oggi a rischio spopolamento, ovvero 1/3 dell’intero sistema comunale italiano. Sono numeri enormi, che raccontano una verità spesso taciuta… i borghi non stanno scomparendo, ma stanno diventando luoghi sempre più difficili da abitare.

Per invertire questa tendenza servono due leve fondamentali. La prima riguarda la casa. Oggi il 27% delle abitazioni italiane è vuoto, e nel 2024 in 358 comuni non è nato neanche un bambino. È un dato che pesa tanto, perché ci dice che lo spazio per ripartire esiste, ma bisogna riempirlo di vita. Occorre creare modelli di residenza agevolata per giovani, smart worker e nuovi residenti dall’estero, sostenendo la mobilità e la sanità di prossimità, perché senza servizi anche la più bella delle case resta vuota.

La seconda leva riguarda il lavoro. C’è una notizia di cui si è parlato poco, ma che potrebbe avere un impatto enorme: la legge 131 del 2025 introduce un incentivo pensato per chi sceglie di vivere e lavorare da remoto nei piccoli comuni. A partire dal 2026, le imprese che assumono under 41 disposti a trasferirsi in centri con meno di 5.000 abitanti potranno azzerare i contributi fino a 8.000 euro l’anno per i primi due anni e 4.000 per i successivi due. È una misura intelligente, perché sposta il vantaggio sull’impresa, ma allo stesso tempo favorisce nuovi insediamenti e comunità più vive. In questo modo, il remote working smette di essere un privilegio urbano e diventa una leva concreta di ripopolamento e sviluppo sostenibile.

Quindi qual’è il vero ruolo del turismo?

E poi c’è il turismo, che troppo spesso viene presentato come la panacea di tutti i mali. In realtà, il turismo da solo non può ripopolare i borghi, ma può innescare la loro economia e renderla vitale. Quando il turismo si traduce in impresa locale, ospitalità diffusa, ristorazione legata ai prodotti del territorio, artigianato e servizi digitali, allora diventa un motore di sviluppo autentico. Ma perché quel motore resti acceso serve un contesto che lo alimenti: case, lavoro, connessione, scuola, servizi. Solo così chi arriva può scegliere di restare, e chi resta può smettere di sentirsi un “resistente”.

Negli ultimi anni si è parlato molto di turismo delle radici, una forma di viaggio che riaccende il legame emotivo con i luoghi d’origine e restituisce visibilità a territori dimenticati. È un progetto prezioso dal punto di vista culturale, ma anche questo non risolve il problema dello spopolamento, perché riporta le persone nei luoghi della memoria, non nella vita quotidiana. Perché diventi una leva reale, deve trasformarsi in ritorno stabile, non in visita occasionale.

E proprio qui si inserisce un altro fenomeno interessante, spesso confuso con il precedente ma di natura diversa: la tornanza. Si tratta di giovani e famiglie che, dopo esperienze altrove, scelgono di tornare a vivere nei paesi d’origine. È un segnale incoraggiante, che racconta un nuovo ciclo demografico possibile. Mi piace definirlo attraverso la teoria dell’innesto, perché chi torna porta con sé innovazione, competenze e relazioni che arricchiscono la comunità. È un processo ancora più narrato che misurato, ma la narrazione può essere la prima forma di realtà. Proprio per questo servirebbe un osservatorio nazionale che analizzi i ritorni, le nuove imprese giovanili e i fattori che rendono davvero sostenibile la rinascita dei borghi.

Come CEO di Visit Italy, vedo ogni giorno quanto il racconto di un territorio possa cambiare il suo destino. La narrazione è un’infrastruttura culturale, non un abbellimento. Senza racconto, nessun luogo entra nella mappa mentale di chi deve scegliere dove viaggiare, investire o vivere. Ma il racconto è un inizio, ma da solo, non basta. Funziona se poggia su un terreno reale, su un progetto concreto, su un ecosistema che regge. Il nostro lavoro è proprio questo, dare voce ai territori che stanno cambiando, amplificarne i segnali, costruire un’immagine coerente con la loro evoluzione.

Mi piace pensare ai piccoli comuni come a destinazioni luminose: luoghi che sanno brillare lontano dai riflettori, che non inseguono la visibilità di massa ma il significato. Sono parte di quel 99% d’Italia ancora fuori dalle rotte più battute ma pieno di futuro. Il turismo può essere la scintilla che accende il cambiamento, ma per trasformarsi in una fiamma serve tutto il resto: politiche abitative, lavoro, servizi, comunità.

Fare turismo e ripopolare un borgo non sono la stessa cosa. Il primo accende, il secondo costruisce. Il turismo può aprire la porta, ma è la qualità della vita che convince a restare. Per questo il futuro dei borghi italiani non si misura nel numero di visitatori, ma nella capacità di far nascere nuove vite, nuove imprese e nuove storie.

In fondo, il turismo non li salverà da solo, ma può essere il punto di partenza per un’Italia che torna a credere in se stessa. Un Paese che deve ricordarsi una cosa semplice: tutto il mondo vorrebbe vivere in Italia, e i suoi piccoli centri possono diventare il laboratorio di un nuovo modello di vita e di sviluppo, più equilibrato, umano e sostenibile.

Ruben Santopietro
Ruben Santopietro
Imprenditore e CEO di Visit Italy, piattaforma culturale indipendente che racconta l’Italia lontano dai riflettori. Da anni lavora nel marketing territoriale, accompagnando destinazioni e comunità a costruire nuove narrazioni. È stato intervistato da BBC, CNN e Skift come una delle voci italiane più autorevoli sul turismo. Nel tempo libero coltiva la passione per l’arte, le due ruote e l’esplorazione dei luoghi più affascinanti del mondo.