Prodotto o promozione: cosa viene prima nel turismo? Un dilemma che da sempre divide chi teorizza e chi lavora sul campo, ma che può cambiare le sorti dei territori.
di Ruben Santopietro
Una domanda che nel turismo ha il sapore dell’eterno “prima l’uovo o la gallina”. Nei convegni e nei dibattiti torna puntuale… meglio costruire prima il prodotto turistico e solo dopo iniziare a raccontarlo, o partire subito con la promozione e, strada facendo, organizzare l’offerta?
Come CEO di Visit Italy, questa domanda me la sento porre continuamente. Non solo nei tavoli istituzionali o nelle aule universitarie, ma soprattutto dai territori con cui lavoriamo ogni giorno. Molto spesso le piccole e medie destinazioni pensano di non avere abbastanza posti letto, abbastanza ristoranti, abbastanza attività o infrastrutture per iniziare un piano di promozione.
In realtà è proprio lì che si vede chiaramente quanto la risposta a questo dilemma possa cambiare il destino di una destinazione.
Due correnti di pensiero
Su questo punto le opinioni si dividono in due vere e proprie correnti.
Da una parte ci sono i “cultori del prodotto”. Molto spesso provengono dal mondo accademico italiano e ritengono che prima ci si debba concentrare sugli investimenti infrastrutturali (che in Italia richiedono anche vent’anni) o sulla creazione di posti letto, ristoranti e servizi, e solo dopo pensare a raccontare il territorio. In alcuni casi arrivano perfino a demonizzare il marketing territoriale, riducendolo a un atto finale, quasi una parentesi.
Dall’altra parte ci sono i “costruttori di domanda”, che in genere provengono dal mondo dell’impresa o del management. Hanno un approccio più pragmatico. Sanno che senza una domanda costruita intorno a un territorio, nessuna offerta resiste. È inutile realizzare hotel, ristoranti o esperienze se non c’è qualcuno pronto a viverle. Per loro il prodotto e la promozione non sono fasi distinte che camminano in fila indiana, ma processi che viaggiano insieme. Se manca uno dei due, il territorio non entra mai davvero nel radar dei viaggiatori.
Il nodo della realtà
E allora la domanda diventa: con quale logica si chiede a un tessuto imprenditoriale di investire in posti letto, ristorazione, attività o esperienze senza avere prima costruito una domanda?
Significa pretendere che il privato si faccia carico di affitti, stipendi, costi fissi, nell’attesa che, un giorno, arrivi la promozione. Una promozione che per definizione non dà risultati immediati, perché il marketing territoriale serio non è mai un fuoco di paglia, ma un processo di medio-lungo periodo.
Eppure c’è chi continua a difendere questa teoria, nonostante manchi un solo caso concreto che la dimostri. Nella realtà i fatti dicono il contrario: i grandi investimenti/investitori arrivano solo quando un territorio ha già saputo raccontarsi, ha costruito una narrazione credibile ed è entrato in una curva di attrattività crescente.
Il mito del piano perfetto
È, in fondo, lo stesso errore che spesso si fa nel mondo delle imprese: pretendere ‘business plan’ dettagliatissimi prima ancora di partire. La maggior parte degli imprenditori di successo che conosco, però, non ha iniziato così. Sono partiti dal fare, dall’ascolto del mercato, e solo dopo hanno messo ordine nei numeri.
Non è un caso che anche a livello internazionale la dinamica sia la stessa: ChatGPT era nata come traduttore, YouTube come piattaforma di dating, Twitter come servizio per podcast interni. Progetti che sulla carta avevano un destino, ma che a contatto con la realtà hanno preso tutt’altra direzione.
Nei territori succede esattamente la stessa cosa. Si parte dallo studio, si individua il target, si costruisce una narrazione che attiri l’attenzione, e da lì bisogna subito lavorare per generare domanda. Solo infondendo fiducia arrivano gli investimenti piccoli, medi e grandi.
La verità scomoda
Quando sento persone che sostengono il “prima il prodotto” penso sempre a due possibilità. O non hanno la minima idea di come si costruisca davvero un piano di marketing territoriale e allora lo sminuiscono. Oppure non vogliono realmente che quel territorio cresca, per interessi diversi o in alcuni casi personali. Non vedo altre spiegazioni.
In tutti gli altri casi, se si vogliono riscrivere i modelli di turismo di una destinazione, il marketing territoriale, quello serio, è un asset da pianificare fin dal giorno zero.
Tanto più in Italia, dove il 70% dei visitatori stranieri conosce solo l’1% del Paese e dove il 48% dei comuni rischia lo spopolamento. In un contesto del genere, il turismo non è solo economia: è un motore che può dare opportunità, identità e futuro a intere comunità.
E chiudo con una provocazione che può far discutere, ma il dibattito è necessario. Se è vero che promuovere una destinazione non è come promuovere un brand, è altrettanto vero che una destinazione NON È UN PRODOTTO da scaffale. Fine.



