Tra chi lo idealizza e chi lo demonizza, il turismo resta uno dei settori più fraintesi. Dati, esempi e realtà di un’industria che non sorride soltanto, ma costruisce valore.
di Ruben Santopietro
In Italia convivono due idee opposte. C’è chi dice che potremmo vivere solo di turismo, come se fosse la panacea di tutti i mali. Non è corretto, nessuna economia sana vive di un solo settore. E chi dice l’opposto, ovvero che il turismo sia solo una minaccia per i territori, che offra bassa manovalanza, precariato e poca innovazione. Questo articolo serve a fare chiarezza, superare i luoghi comuni e spiegare, in modo semplice, cos’è davvero il turismo, cosa fa e quanto pesa realmente.

Il turismo è uno dei settori più importanti al mondo (ma non il più grande)
Nel 2024, a livello globale, viaggi e turismo hanno generato 11,1 trilioni di dollari, circa il 10% dell’economia mondiale. Abbiamo speso più per viaggiare che per mangiare o per curarci, e il settore ha mosso più denaro dell’intera industria del petrolio. Ha sostenuto 357 milioni di posti di lavoro, vale a dire una persona su dieci nel pianeta.
In Italia, sempre nel 2024, il turismo ha contribuito per il 10,8% del PIL e per il 13% dell’occupazione nazionale, secondo i dati diffusi da ENIT alla BIT di Milano.
Confronto con le altre industrie
Per capire il peso del turismo, serve metterlo accanto ai grandi blocchi dell’economia mondiale.
- Finanza e assicurazioni: circa 20% del PIL globale. È il settore con più valore aggiunto e margini di profitto, ma concentrato in pochi hub globali.
- Manifattura e industria: tra 16 e 18% del PIL mondiale, include automotive, elettronica, energia, chimica, metallurgia.
- Commercio e distribuzione: tra 12 e 14% del PIL, con e-commerce, logistica e retail.
- Agricoltura e alimentare: circa 4% del PIL mondiale, con forte impatto sociale.
- Turismo e viaggi: circa 10% del PIL globale, ma con una particolarità unica: coinvolge oltre 50 settori diversi, dall’ospitalità ai trasporti, dalla cultura alla tecnologia. È uno dei pochi comparti capaci di redistribuire ricchezza anche in aree rurali o marginali, creando sviluppo locale. Ogni euro speso da un turista ne genera fino a 3 nel resto dell’economia locale (fonte WTTC).
L’export invisibile (ma reale)
Nel commercio internazionale, il turismo pesa più di quanto si pensi. Nel 2024, la spesa dei turisti internazionali ha rappresentato quasi un quarto dell’export mondiale di servizi (circa il 24% delle esportazioni globali), con introiti che hanno toccato i 2 trilioni di dollari.
In oltre 100 Paesi, il turismo è tra le prime cinque voci di esportazione nazionale. Significa che quando un turista straniero viaggia, mangia in un ristorante, dorme in un hotel o compra un prodotto locale, sta portando valuta estera dentro l’economia del Paese che visita.
In pratica, è come se esportassimo un bene o un servizio, ma senza spedirlo. La differenza è che qui l’export resta a casa, ogni euro speso sul territorio genera reddito per imprese, artigiani, produttori locali e comunità.

“Il turismo genera solo bassa manovalanza”
Un altro luogo comune da superare. Oggi il turismo non vive più solo di accoglienza, ma di innovazione, dati, strategie e contenuti.
Le destinazioni cercano esperti di marketing territoriale, data analyst, esperti di sostenibilità, ingegneri, sviluppatori software, storyteller, project manager. Dietro un albergo ci sono architettura, edilizia, design, energia, software gestionali, sistemi di pagamento.
Dietro un piatto locale ci sono agricoltura, pesca, logistica, formazione e cultura.
La linea tra turismo, tecnologia e industria culturale è sempre più sottile. Il settore produce effetti a catena che spesso non si vedono a occhio nudo: in Italia è la prima industria culturale, e una delle poche in cui si può costruire un’economia basata sull’unicità, non sulla produzione di massa.
Il turismo sostiene musei, teatri, artigianato, produzioni tipiche, e favorisce soprattutto occupazione giovanile e femminile.
Il turismo come infrastruttura reputazionale
Il turismo non racconta solo numeri. È uno dei pochi settori capaci di trasformare la percezione di un Paese. L’immagine che il mondo ha dell’Italia, bellezza, arte, accoglienza, stile di vita, nasce dal turismo.
È soft power puro, quanto la diplomazia o l’industria culturale. Ogni esperienza vissuta da un viaggiatore è una micro-campagna di comunicazione internazionale che parla di noi, anche quando non ce ne accorgiamo.
Le critiche più frequenti al settore: cosa è vero e cosa no
- Solo bassa manovalanza: la parte visibile è operativa, ma l’ecosistema impiega competenze avanzate, linguistiche, digitali e gestionali.
- Solo stagionalità e precariato: esiste, ma si contrasta con destagionalizzazione, formazione, diversificazione dei mercati e gestione dei flussi.
- Pochi incentivi all’innovazione: falso. Il turismo è tra i settori che più utilizzano dati in tempo reale, pricing dinamico, intelligenza artificiale e fintech.
- Speculazione immobiliare e impatti sui residenti: problema reale in alcune città, ma risolvibile con regole chiare, fiscalità equilibrata e gestione intelligente dell’extralberghiero.
- Benefici limitati e ricchezza concentrata: al contrario, il turismo frammenta la spesa tra migliaia di microimprese di ospitalità, ristorazione, artigianato e cultura. È un moltiplicatore che resta nei territori.
Quindi, cos’è davvero il turismo?
Il turismo non è l’economia del sorriso, è l’economia della connessione. Collega persone, territori, imprese, culture e tecnologie. Distribuisce valore dove le grandi fabbriche non arrivano. Valorizza la cultura, la fa crescere, porta valuta dall’estero e mette in moto intere filiere. E sì, crea anche lavori di sala e di cucina, che non sono affatto “inferiori” quando sono professioni qualificate, ben retribuite e basate su competenza e passione.
Nessun Paese può vivere solo di turismo. Ma senza turismo, l’Italia sarebbe più povera, economicamente e culturalmente. Perché il turismo non è un settore che consuma il Paese. È quello che, ogni giorno, lo racconta, lo sostiene e lo costruisce.
Come CEO di Visit Italy, lo vedo ogni giorno nei territori con cui lavoriamo: città d’arte e piccoli borghi che stanno riscoprendo nel turismo una risorsa equilibrata, sostenibile e identitaria. Non una scorciatoia economica, ma una forma di rinascita consapevole.


