L’overtourism non è inevitabile. Serve solo un nuovo modo di leggere i territori. Questa equazione potrebbe essere il punto di svolta.
L’Italia è una bellezza fragile. Ogni giorno è fotografata, desiderata, consumata. E spesso, troppo spesso, lo è senza essere ascoltata.
Come CEO di Visit Italy, vedo l’entusiasmo che il mondo prova per il nostro Paese. Ma vedo anche i segni di qualcosa che non funziona più. Centri storici svuotati di residenti. Comitati cittadini che protestano. Sindaci costretti a inventare regole straordinarie per tamponare situazioni fuori controllo.
Lo chiamiamo overtourism, ma questo è solo il sintomo.
Il vero problema è che, in nome del turismo, abbiamo dimenticato chi abita i luoghi.

Overtourism non è una sorpresa: Doxey l’aveva già previsto
Nel 1975, George Doxey sviluppò un modello chiamato “Irridex”: l’indice di irritazione dei residenti. Ricercatore canadese di studi sul turismo, propose uno dei primi modelli capaci di spiegare l’evoluzione del rapporto tra residenti e turisti. La sua teoria, ha avuto un’enorme influenza nel campo della sociologia del turismo, soprattutto in Nord America e in Europa.
- All’inizio i turisti vengono accolti con entusiasmo.
- Poi, diventano routine. E qualcosa si raffredda.
- Quando iniziano a disturbare, arriva l’irritazione.
- Alla fine, se i cittadini si sentono ignorati, scatta l’antagonismo.
Lo vediamo chiaramente in molte città italiane: Venezia ha introdotto il ticket d’ingresso. Firenze ha vietato nuove aperture turistiche in centro. Napoli vive una tensione costante tra boom e disordine. Le Cinque Terre pensano a un numero chiuso.
Ma a cambiare non sono solo i territori: anche il modo di viaggiare è cambiato.
È cresciuto un turismo sempre più rapido, distratto, superficiale.
Un turismo che alimenta l’irritazione di cui parlava Doxey… non tanto per il numero di persone, ma per la qualità dell’interazione.
È il sintomo di quella che, in un recente TEDx, ho chiamato Checklist Era: un modello alimentato dalla corsa a collezionare foto, piuttosto che a vivere esperienze.
Anche Butler ci aveva avvertiti
Richard W. Butler è un geografo e studioso britannico tra i più influenti nel campo del turismo. È conosciuto soprattutto per aver sviluppato nel 1980, cinque anni dopo Doxey, uno dei modelli più citati nel turismo: il Ciclo di vita delle destinazioni turistiche, in inglese il Tourism Area Life Cycle (TALC).
Questo modello descrive l’evoluzione di una località turistica attraverso sei fasi:
- Esplorazione
- Coinvolgimento
- Sviluppo
- Consolidamento
- Stagnazione
- Declino oppure Rigenerazione
Butler ha sempre sottolineato che una destinazione turistica non può crescere all’infinito: a un certo punto, se non si interviene con politiche intelligenti, la qualità dell’esperienza e della vita locale crolla.
Serve una nuova equazione
Dopo cinquant’anni di studi sull’evoluzione delle destinazioni, da Doxey a Butler, oggi disponiamo di modelli per leggere l’overtourism.
Ma leggere non basta. Oggi serve progettare.
Negli ultimi anni, nel lavoro quotidiano con territori italiani molto diversi – da Arezzo a Courmayeur, da Ragusa al nord Sardegna, da Genova a Tropea – ho avuto la possibilità di osservare da vicino le dinamiche reali tra turismo e vita locale.
Dall’ascolto dei residenti, dall’analisi dei dati di flusso, dallo studio delle soluzioni serie per affrontarlo, nasce quella che in Visit Italy proponiamo come una nuova base operativa: l’Equazione della sostenibilità turistica, indispensabile per la gestione del turismo contemporaneo.
Tre variabili chiave. Interdipendenti. Se una sola di queste crolla, l’esperienza turistica si svuota di autenticità e valore.
- Benessere dei residenti: qualità della vita, diritto all’abitare, servizi essenziali, tranquillità quotidiana.
- Capacità di carico: quante persone può reggere un luogo, senza snaturarsi.
- Qualità dell’esperienza: il rispetto e la connessione tra chi arriva e chi resta.
Senza queste condizioni, il turismo non è più sostenibile. E senza sostenibilità, l’esperienza turistica non è più desiderabile.
Questa equazione è il nuovo confine tra crescita e collasso.
È qui che si gioca il futuro delle nostre destinazioni e delle mete più colpite al mondo.
Il futuro non è senza turisti, è con più equilibrio
Con il team Visit Italy, abbiamo iniziato a costruire da tempo un approccio diverso.
Un modello che mette al centro le comunità.
È un turismo che:
- parte dall’ascolto e dalla tutela di chi abita i luoghi,
- distribuisce i flussi in modo più equilibrato (come con “99% of Italy”),
- lavora con i territori, non solo per promuoverli.
Dove funziona? Lo vediamo ad esempio:
- ad Arezzo, dove la narrazione ha restituito centralità culturale alla città,
- nelle Marche, dove piccoli borghi come Treia sono finiti su GEO France,
- nel nord Sardegna, dove il progetto Salude & Trigu ha generato +33% di turismo americano e nuove rotte aeree.
Non dobbiamo rinunciare al turismo.
Dobbiamo rinunciare all’idea che il turismo sia solo numeri, voli e notti in hotel.
Il turismo può essere ancora un patto di fiducia tra chi arriva e chi resta.
Ma quel patto deve partire da chi ci vive.
Solo allora l’Italia tornerà a essere non solo la destinazione più desiderata, ma anche la più rispettata.